venerdì 21 marzo 2008

Remoto

Qualcuno riprende l’annosa questione della polverosa vetustà dei Promessi sposi, osservando come depongano a sfavore del romanzo il disinteresse delle masse, l’avversione degli studenti, ecc. Come se il disinteresse fosse un argomento. Oltre tutto, Manzoni è uno dei nostri scrittori non narcisi, per niente simpatico, talvolta irritante, maschera senatoriale & veleni segreti (Zanzotto): ovvero, meglio lui che altri fighetti, che non la contano giusta (soprattutto per opera degli epigoni, diceva Fortini).
I nostri artisti (scrittori e poeti in primis) sono molto contenti di essere artisti: anche se l’implied author (cfr. Wayne C. Booth, The Rhetoric of Fiction), i narratari, i personaggi, i famosi alter ego ecc. se la passano male, a fare bella figura è sempre l’autore reale, che ha «capito tutto».
L’autore sconta il peccato originale della diegesi, cioè del passato remoto, come disse a suo tempo Barthes (Il grado zero della scrittura):
«
Dietro il passato remoto si nasconde sempre un demiurgo, dio o narratore; il mondo non è inspiegabile quando lo si narra, ciascuno dei suoi accidenti è circostanziato [...]. Il passato remoto è dunque in fondo l’espressione di un ordine e conseguentemente di un’euforia. Esso fa sì che la realtà non sia né misteriosa né assurda, ma chiara, quasi familiare; raccolta ogni momento e contenuta nella mano di un creatore, essa subisce l’ingegnosa pressione della sua libertà.
[...] Il passato narrativo fa dunque parte di un sistema di sicurezza delle Belle Lettere [...]; è una falsità pale­se; esso delinea il campo di una verosimiglianza che svela il possibile nel momento stesso in cui lo indica come falso».