giovedì 11 gennaio 2007

Scarpine

Lei scrive: «L’attuale contesto italiano non incoraggia all’impegno». Vuol dire che il governo Berlusconi, che sacrifica scuola e ricerca, non si addice alle esigenze della cultura?
«Certo che non si addice! Ma non è solo il governo Berlusconi. Le sembra che un personaggio come D’Alema, coi suoi baffini, le sue scarpine, la sua barchetta condominiale, il suo ammiccante tatticismo accattone spacciato per accorta e astuta lungimiranza, la sua inamovibilità pur dopo continue batoste e vari attestati di sfiducia sia tanto diverso dai suoi omologhi del centro-destra? È solo un indice della crisi di un paese che sta tornando lentamente, ma ineluttabilmente, a un’Italia secentesca, però senza le Accademie e la musica e la pittura di allora: Armani non basta. Perché poi dar sempre la colpa ai politici, quasi fossero peggiori del popolo che li esprime? Siamo noi italiani il problema. Usciti dal mondo per noi tutto sommato rassicurante della guerra fredda, davanti al mondo nuovo siamo stati colti da un delirio onirico da cui solo ora cominciamo in parte a risvegliarci, ma ormai immersi in una fanghiglia che ci avviluppa sempre più. I demoni sono già scatenati e non credo sarà facile richiamarli indietro. A volte mi sembra di essere dentro L’invasione degli ultracorpi, un classico della fantascienza, quello dei baccelloni da cui uscivano gli extraterrestri: solo che, questa volta, l’alieno mi sento io, che invece sono l’invaso. E non è una sensazione che stimola a produrre libri, questa. Almeno se non si vuole essere soltanto produttori di carta stampata da rifilare a consumatori indifferenti»
(Gianandrea Piccioli con Ranieri Polese, «Corriere della sera» 28 dicembre 2002).