lunedì 24 dicembre 2007

Ian Fisher risponde

A Times Article Throws Italy Into a Tizzy

The Lede: Quando è uscito il tuo articolo, che tipo di reazioni ci sono state?

Ian Fisher
: sono arrivate da tutte le parti, piuttosto allarmate, e la cosa mi ha sorpreso molto. Ho ricevuto più e-mail per qualsiasi altro pezzo che ho scritto, per la maggior parte di italiani che erano d’accordo (anche se molti hanno detto di essere d’accordo quasi su di tutto, tranne sull’idea di essere depressi).
La sera stessa, il principale telegiornale nazionale ha aperto con il mio pezzo, in parte perché il Presidente Giorgio Napolitano si trovava negli Stati Uniti (ai molti italiani che si sono chiesti se l’abbiamo pubblicato in coincidenza con la sua visita: non c’entra nulla). Il giorno successivo il caso era sulla prima pagina della maggior parte dei quotidiani, ed è stato ampiamente discusso alla radio e in televisione. Un’intraprendente giornalista ha addirittura chiesto un commento a Sophia Loren.
Avevo previsto che in qualche modo sarebbe andata così. Ma la reazione ha innescato un dibattito nientemeno che nazionale.
Una delle comiche italiane più famose, Luciana Littizzetto, ha fatto uno sketch piuttosto divertente in tivù chiedendosi sostanzialmente perché il bue (cioè l’America, con le sue armi atomiche e la sua invasione dell’Iraq) desse del cornuto all’asino. Ha detto qualcosa del tipo: “Ok, noi italiani possiamo essere depressi, ma gli americani sì sono pazzi!”

The Lede: E non si sono ancora calmati?

Ian Fisher: Proprio oggi un periodico serio, “Internazionale “, ha pubblicato tutto il mio articolo in traduzione italiana, con un commento del più importante intellettuale italiano, Umberto Eco, sulla intensità della reazione italiana. Ha scritto che ha rivelato un provincialismo che l’ha lasciato depresso.
È pur vero che crisi salutari, interrogazioni sulla propria identità o sui propri errori, possono nascere da un pretesto in sé trascurabile, ma un paese intero che entra in crisi (e tra l'altro solo ora) su un argomento del tipo “chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo”, raggiungendo picchi di isterismo, significa una e una sola cosa: che Fisher aveva ragione.
O almeno che, se esagerava nel momento in cui scriveva, ha piena ragione adesso, dopo che l’Italia sgomenta lo ha letto ed è diventata come lui la descrive. Si noti che tra le reazioni ci sono state anche quelle del tipo: “sì, ma a criticarci sono gli americani, che sparano ai bambini nelle scuole e stanno morendo tutti di diabete perché s'ingozzano di Big Mac”.
Il che ricorda la barzelletta antisovietica di radio Erevan, quella dell’americano che nella stazione di Mosca si lamenta che tutti i treni sono in ritardo, e il capostazione gli risponde: “sì, ma voi impiccate i negri”. Questa esplosione di provincialismo è veramente penosa e promette molto male per le magnifiche sorti e progressive della nostra amata patria. Personalmente mi sento depresso.
Oggi è intervenuto persino il Vaticano. Il francescano Raniero Cantalamessa, predicatore del papa e della Curia, ha diffuso un sermone nel quale si riprende il tema centrale dell’articolo e un po’ del suo stile. Il passo allude al dibattito sulla recente enciclica sulla speranza di Benedetto XVI:
“In Italia si è fermata la speranza e con essa la fiducia, lo slancio, la crescita, anche economica. Il ‘declino’ di cui si parla nasce da qui. La paura del futuro ha preso il posto della speranza. La scarsità delle nascite ne è il rivelatore più chiaro. Nessun paese ha bisogno di meditare l’enciclica del papa quanto l’Italia”.

The Lede: Gli stessi media italiani sono apparsi sorpresi dalla vivacità della reazione, e ne hanno parlato anche questa settimana. Cosa c’era nel tuo articolo, secondo te, da toccare un nervo scoperto?

Ian Fisher: Ci ho pensato su molto, e non ho una risposta sicura. Ho fatto solo alcune ipotesi.
Io non ho scritto niente di più di quello che dicono ogni giorno gli stessi italiani o i loro media. Ma raramente tutto ciò è stato riassunto in una sintesi e penso che abbia dato più fastidio provenendo da uno straniero, specialmente da un giornale come il NYTimes. Gli italiani sono molto sensibili a ciò che pensano gli altri, in particolare gli americani. Credo pure che, quale che sia la critica che l’articolo ha adombrato, abbia centrato qualcosa di vero.

The Lede: C’è anche una parte di catarsi nelle reazioni, cioè non pensi che la gente sia contenta di vedere sollevati certi problemi, anche se lo ha fatto uno straniero?

Ian Fisher: Non lo so. Per molti italiani medi, direi di sì. Tante persone mi hanno ringraziato per averlo scritto, anche se, ripeto, non erano pienamente d’accordo. Per quanto riguarda la classe politica, non credo che sia molto contenta, a nessun livello.

The Lede: Qual è stata la cosa più sorprendente nelle varie reazioni?

Ian Fisher: Io direi la differenza tra politici e gente comune. Recentemente si è scritto molto sul divario tra la classe politica e i normali cittadini in Italia e, se ha qualche significato la mia esperienza delle reazioni a questa storia, direi che il divario c’è.
Per esempio, il nostro giornale ha ricevuto una lettera dal Ministro dell’Interno Giuliano Amato, che sostiene che l’Italia sta facendo bene, e che il punto di vista dell’articolo appartiene alla parodia, la quale ha confuso una colichetta con una malattia grave, e la reazione è stata eccessiva e forse deleteria.
“Soprattutto - e qui mi rivolgo ai miei colleghi italiani – lamentandoci sempre dei nostri malanni potremmo diventare molto più malati di quanto siamo in realtà”. Però frotte di lettori italiani mi hanno scritto, dicendo cose come questa: “Quello che ha scritto è del tutto vero! Le mie preoccupazioni di uomo di mezza età sono più per mia figlia ma, forse, mi sbaglio, perché dovrebbero essere anche per me! Noi siamo l’avanguardia del declino europeo”.
C’erano anche osservazioni più ostili, ma appartenevano a non italiani che amano il paese, come questa: “Io sono stato in Italia molte volte. Quella che ho visto è una popolazione molto felice che si gode la vita. Lei dovrebbe preoccuparsi piuttosto dei problemi del suo disgraziato paese”.

The Lede: Credi che tutto ciò passerà presto, o ti aspetti di sentirne ancora nei prossimi mesi?

Ian Fisher: Essendo un reporter e tentando, più o meno, di fare tranquillamente il mio lavoro qui, spero che la faccenda si esaurisca, e, com’è naturale, sta già cominciando ad esaurirsi. Ma finché vivrò qui penso che sarò noto come il tipo che ha scritto quella storia e mi stimeranno od odieranno per quello.

The Lede: Un’ultima domandina per chiudere. Qualcuno ha citato Tocqueville?

Ian Fisher: No, anche se mi sarei sentito lusingato se qualcuno lo avesse fatto!