«A vedere come la cosiddetta informazione si è piantata sull'attenti, tutta, in blocco, davanti alla morte del tenore Pavarotti, si capisce l'immutabilità nel peggio di questo Paese, catafratto alla dignità e alla verità. Più di un cantante, quasi un profeta, un messia, a metà fra il canto degli angeli e il cuore grande per i bambini d'Africa. Nessuno che abbia ricordato, per cominciare, le magagne, imbarazzanti, di Pavarotti col fisco, risolte con una multa patteggiata di 25 miliardi di lire che l’informazione pubblicitaria ha descritto come un’elargizione del grande tenore anziché l'umiliante, squalificante ammissione che il progidioso artista dal cuore grande aveva l'abitudine di frodare alla grande lo Stato millantando improbabili soggiorni a Montecarlo, mentre risiedeva in una sorta di villaggio personale in Italia. Un pioniere. A reggergli la bara avrebbero dovuto mandarci Valentino Rossi & friends»...
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