martedì 9 gennaio 2007

Tarzan

Al direttore «L’amico Mussini mi dice che lo scorso sabato, giorno in cui non avevo possibilità di procurarmi alcun quotidiano, sul “Foglio” sarebbe uscito un suo scritto che mi avrebbe accusato di poca chiarezza in merito alla liceità o illiceità della soppressione di un individuo nelle primissime fasi della sua esistenza ovvero nelle fasi prenatali. Mi auguro che questo strafalcione sia in malafede - deplorevole ma pur sempre comprensibile, per varie ragioni di visceralità politica o personale, e comunque potenzialmente correggibile, mentre ogni parola e ogni azione iniqua o sballata, pronunciata o compiuta in innocente buonafede, è una stortura inestirpabile. “Chi ignorantemente pecca, ignorantemente si danna”, diceva la nonna a Biagio Marin, il grande poeta di Grado. A partire dal 3 febbraio 1975 ho ripetutamente, dettagliatamente, noiosamente, maniacalmente ribadito - soprattutto ma non soltanto sul Corriere della Sera - che la vita di un individuo inizia col concepimento e termina con la morte e che, in qualsiasi momento di questa parabola, va tutelata e rispettata. Ho anche sostenuto, sia pur marginalmente, l’attività dei centri di aiuto alla vita che offrono assistenza, prima e dopo la nascita, alle madri che vivono una gravidanza difficile e ostacolata.
Tutte queste cose, ribadite anche al tempo del referendum del 1981, in cui ho votato e dichiarato pubblicamente di votare sì, mi hanno attirato, come è inevitabile, contumelie dagli abortisti, tra i quali alcuni radicali che credo siano più amici suoi che miei. Ho sostenuto queste tesi, non particolarmente originali, non per motivi religiosi, perché non occorre credere nella Santissima Trinità per sapere quando io, lei o chiunque altro o altra abbiamo cominciato a vivere; la pregherei anzi, a questo proposito, di lasciare ad alcuni sacerdoti a me legati da amicizia e da passeggiate in montagna di definirmi cattolico o no, dato che su questo punto hanno maggior competenza del direttore di un foglio. Forse a lei spiace di trovarsi, in merito all’aborto, d’accordo con me, mentre io non sono turbato da questa specifica consonanza come non lo sarei del contrario e come non sarei turbato di trovarmi d’accordo con Stalin se questi dicesse che due più due fa quattro. Le sono semmai anzi grato, perché essere criticato dal “Foglio” mi aiuta a continuare con più allegria questa battaglia. Inoltre capisco bene che, mentre io difendo, come Bobbio, il diritto dell’individuo (appena concepito, embrione, giovanotto, pensionato, decrepito incontinente), senza necessità di fare di questo diritto un uso politico, un direttore di giornale, che si è condannato a un lavoro più faticosamente gravato da calcoli, mosse, giochi e responsabilità politiche, non può fare a meno di usare anche un concepito minacciato quale manganello contro un avversario politico. Fa parte dei suoi doveri, delle sue responsabilità, ed è ciò che fa di lui una responsabile, costruttiva, rispettabile, lodevole, prevedibile persona per bene, un uomo d’onore. Grato per l’ospitalità, mi auguro che, per la parte in cui siamo d’accordo, vinciamo entrambi e che per il resto provveda, possibilmente a mio favore, il destino.»
Claudio Magris.
Troppe parole forse troppo irritate per dire adesso quel che non c’era nelle troppe parole forse troppo serafiche del pezzo nel Corriere, che peraltro mi aveva segnalato l’amico Pippini. Onorato di avergliele cavate, egregio professore. Dopo simile sforzo fa bene a rimettersi in terza posizione, con l’aiuto di una liana: io Bobbio, tu squadrista politico. No. Io Cita, tu Tarzan.
"Il Foglio", 24 maggio 2005.