Per Contini «la sostanza di Pasolini» era anti-illuministica, «com’è chiaro alla formulazione non razionalistica, anzi simbolistica, ermetica, “passionale”, di ogni scrittura ideologica, in verso o in prosa». E soggiungeva: «Entrato con tutti gli onori nelle fila della società detta “affluente”, Pasolini si avvalse degli stessi strumenti di cui essa gli faceva copia per fustigarla in piena faccia. La società “affluente” sorrideva o anzi applaudiva sotto le percosse, lieta che la sua liberalità si ornasse di un tanto eretico accarezzato, scambiandolo certo per un esibizionista compiaciuto di paradossi» (Ultimi esercizi ed elzeviri (1968-1987), Torino, Einaudi, 1988).
Detto diversamente (Meneghello): «P[asolini] è uno dei pochi ingegni letterari originali che abbiamo, ma i suoi rapporti col vecchio titano ignavo del popolo d’Italia consistono in questo, che lui gli dice Vaffanculo e il titano batte le mani. È un teatro: “Vaffan ti dissi in faccia, tu mi gridasti: Bravo”. “Sono perseguitato” sussurra P. torbido e sol; e gli danno il premio della persecuzione, il Vaffanculo d’oro. A volte è lì a riceverlo di persona, altre volte non è. “È in vacanza in Marocco”. Solitudine, austerità, dolore. Marocco» (Le Carte, I, p. 255).
Secondo Fortini la vicenda biografica di Pasolini «era anche quella del povero, ricco di genio e di cultura e di sregolatezza (uno dei modelli storici del piccolo-borghese), entrato di forza a far parte del mondo dei ricchi potenti e beneducati e a orgoglio e orrore della propria genealogia di classe». In Petrolio «l’eros, che è organicamente “serio”, sfida la trattazione letteraria libertina, è vicino alla morte ossia è indescrivibile se non per allegoria, come sanno i musicisti; in versi o in prosa rischia sempre lirismi, dannunzianesimi, entusiasmi decorativi, come in Genet, in Duras. Bataille lo sapeva. Pasolini non sfugge alla regola» (Pasolini sul rogo di sé, “Il Sole - 24 Ore”, 8 novembre 1992, poi in Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 24). Troppo?
Detto diversamente (Meneghello): «P[asolini] è uno dei pochi ingegni letterari originali che abbiamo, ma i suoi rapporti col vecchio titano ignavo del popolo d’Italia consistono in questo, che lui gli dice Vaffanculo e il titano batte le mani. È un teatro: “Vaffan ti dissi in faccia, tu mi gridasti: Bravo”. “Sono perseguitato” sussurra P. torbido e sol; e gli danno il premio della persecuzione, il Vaffanculo d’oro. A volte è lì a riceverlo di persona, altre volte non è. “È in vacanza in Marocco”. Solitudine, austerità, dolore. Marocco» (Le Carte, I, p. 255).
Secondo Fortini la vicenda biografica di Pasolini «era anche quella del povero, ricco di genio e di cultura e di sregolatezza (uno dei modelli storici del piccolo-borghese), entrato di forza a far parte del mondo dei ricchi potenti e beneducati e a orgoglio e orrore della propria genealogia di classe». In Petrolio «l’eros, che è organicamente “serio”, sfida la trattazione letteraria libertina, è vicino alla morte ossia è indescrivibile se non per allegoria, come sanno i musicisti; in versi o in prosa rischia sempre lirismi, dannunzianesimi, entusiasmi decorativi, come in Genet, in Duras. Bataille lo sapeva. Pasolini non sfugge alla regola» (Pasolini sul rogo di sé, “Il Sole - 24 Ore”, 8 novembre 1992, poi in Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 24). Troppo?