
Detto diversamente (Meneghello): «P[asolini] è uno dei pochi ingegni letterari originali che abbiamo, ma i suoi rapporti col vecchio titano ignavo del popolo d’Italia consistono in questo, che lui gli dice Vaffanculo e il titano batte le mani. È un teatro: “Vaffan ti dissi in faccia, tu mi gridasti: Bravo”. “Sono perseguitato” sussurra P. torbido e sol; e gli danno il premio della persecuzione, il Vaffanculo d’oro. A volte è lì a riceverlo di persona, altre volte non è. “È in vacanza in Marocco”. Solitudine, austerità, dolore. Marocco» (Le Carte, I, p. 255).
Secondo Fortini la vicenda biografica di Pasolini «era anche quella del povero, ricco di genio e di cultura e di sregolatezza (uno dei modelli storici del piccolo-borghese), entrato di forza a far parte del mondo dei ricchi potenti e beneducati e a orgoglio e orrore della propria genealogia di classe». In Petrolio «l’eros, che è organicamente “serio”, sfida la trattazione letteraria libertina, è vicino alla morte ossia è indescrivibile se non per allegoria, come sanno i musicisti; in versi o in prosa rischia sempre lirismi, dannunzianesimi, entusiasmi decorativi, come in Genet, in Duras. Bataille lo sapeva. Pasolini non sfugge alla regola» (Pasolini sul rogo di sé, “Il Sole - 24 Ore”, 8 novembre 1992, poi in Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 24). Troppo?