
E va bene. Milosz ne ha passate davvero tante, ma, come discorreva Emanuele Severino a proposito dei pacifisti, a intenti nobili non corrispondono strutture pratiche e concettuali adeguate (La follia dell’angelo, 1997): l’«etica delle intenzioni» non muove, a differenza di quella della responsabilità, le montagne; tra l’altro, l’etica della responsabilità per essere efficace deve flirtare con la tecnocrazia, la quale, appunto, non intende col-laborare ma imperare, ergo…
Queste predichette sono rivelatrici di una mente onesta, però è roba un po’ troppo diffusa, come si provava a spiegare l’altra sera a un amico scassac. («ci voglioni i valori!»... sei un avvocato, ma andiamo…). L’onestà è un know how talmente complesso che andrebbe – per un tempo da definire - affidato a pochi signori di altissimo rango intellettuale (tipo Feynman, Berlin…), di reddito strabiliante ed esposizione mediatica pressoché universale (la tecnica). Finché si tratta di preti da strada, poeti, qualche intellettuale, professorini scapigliati & vanesii ecc., stiamo (state) freschi. Però a Citati è piaciuto.