venerdì 21 marzo 2008

Onestààà

«A quei cinici sghignazzanti tutti intenti a inculcare nelle menti altrui che il bene e il male non esistono, che la vita è una girandola di sorci sempre pronti ad azzannarsi a vicenda, non si può replicare dicendo: “Vi condannate agli eterni supplizi”, perché si fanno beffe della fede in una vita ultraterrena. Si può dire invece: “Vi condannate alla sconfitta, e questo sarà per voi un castigo sufficiente”» (C. Milosz, Il cagnolino lungo la strada, tr. it. Adelphi, 2002).
E va bene. Milosz ne ha passate davvero tante, ma, come discorreva Emanuele Severino a proposito dei pacifisti, a intenti nobili non corrispondono strutture pratiche e concettuali adeguate (La follia dell’angelo, 1997): l’«etica delle intenzioni» non muove, a differenza di quella della responsabilità, le montagne; tra l’altro, l’etica della responsabilità per essere efficace deve flirtare con la tecnocrazia, la quale, appunto, non intende col-laborare ma imperare, ergo…
Queste predichette sono rivelatrici di una mente onesta, però è roba un po’ troppo diffusa, come si provava a spiegare l’altra sera a un amico scassac. («ci voglioni i valori!»... sei un avvocato, ma andiamo…). L’onestà è un know how talmente complesso che andrebbe – per un tempo da definire - affidato a pochi signori di altissimo rango intellettuale (tipo Feynman, Berlin…), di reddito strabiliante ed esposizione mediatica pressoché universale (la tecnica). Finché si tratta di preti da strada, poeti, qualche intellettuale, professorini scapigliati & vanesii ecc., stiamo (state) freschi. Però a Citati è piaciuto.