martedì 9 gennaio 2007

Cool

Tommy Lee Jones

«…L'altro connotato è poi l'opposto di quel mito della calma e del controllo tipico di ogni modello americano sia cowboy sia beatnik («cool, man, cool»), e un riaffiorare impetuoso della tradizionale emotività mediterranea, tra nuvole di sentimentalismo: non solo moltissime cose qualunque definite pazzesche, paranoiche, allucinanti, eccezionali, bestiali (laddove il modello beat mai arriverebbe al di là di “good“ e “bad“, con tutt'al più un po' di “shit“, di “fuck“, di “wow“ e di “gee“), ma un fiume di piangersi addosso per una disperazione che suona indubbiamente autentica.
Sia per cause “vecchie come il mondo“ e cantate in tutte le letterature, e in ogni Montmartre, sia per cause legate alla crisi italiana attuale, sia per ragioni gravi e sia per motivi futili: dalla ragazza perseguitata dalle suore al militare che si trova male a Bologna, dal “maniaco depressivo transessuale con più estrogeni“ al carcerato che riceve le raccomandate in ritardo, dalle femministe che cercano soltanto dolcezza al travestito dileggiato sulla spiaggia libera, dai figli di famiglia piccolo-borghese che odiano il Natale dei genitori col panettone, all'adolescente che non andrà mai più in discoteca perché là tutti “assumono un ruolo“ e si danno arie con le scarpine a punta, dagli entusiasti per lo sparo sbrigativo in bocca, ai rapsodi melodici di Piazza Mercanti, all'anarchica dodicenne preoccupata per il dilagare della violenza, al vigilante che sospettando nello sport un qualche oppio dei popoli propone una mobilitazione dei compagni in vista dei mondiali di calcio, alla ragazzina solitaria in un piccolo centro dove c'è solo la passeggiata sul corso, al ragazzo che vorrebbe considerare come “fine ultimo“ la vita e la felicità e il piacere e usa la violenza solo quando è proprio costretto...
In una ininterrotta lamentela italiana di sconforti e di angosce tipica un tempo della piccolissima borghesia più atterrita e smarrita, mai solcata da quegli obsoleti caratteri storici che si chiamavano una volta coraggio e stoicismo e magari cinismo, o soltanto vitalità, in quella vasta gamma popolare che andava dal “ciglio asciutto“ al “par de cojoni“ passando magari accanto al “classico“ proletario “mi sto facendo un culo così“... sempre sentendosi perseguitati, colpiti, offesi, vittime della violenza e tentati dalla violenza e poi respinti dalla violenza che è il tema più ossessivo della vita giovanile attuale... interrogandosi con un enorme ansioso bisogno di comunicazione reciproca su temi primari di cui l'umanità non ha mai cessato di discorrere, e magari già risolti le mille volte, e invece affrontati sempre come per la prima tragica volta, a un livello di comunicazione che Ernst Bloch definirebbe di “infimità“...» (A. Arbasino,
In questo stato)